di Marta Matteini

 

Ho avuto la tentazione di rileggere il mio primo editoriale del 2005 per trovare spunti a cui rifarmi in vista della conclusione di questo percorso per me unico ed entusiasmante. Poi ho desistito per non cedere a inutili nostalgie. La chiusura di una rivista è sempre una perdita e l’ho sperimentata più volte ma in veste di collaboratore. Questa volta mi trovo invece nel ruolo di chi deve formulare un commiato e non garantisco di riuscirci. Rosanova ci mancherà e le ragioni sono tante. Ci mancherà perché “ha favorito l’attenzione verso luoghi e fenomeni dati per scontati o ignorati... ha creato una forte traccia intellettuale”, come scrive Daniele Mongera nel suo articolo in questo numero. E chiosa: “Rosanova è stata una stella polare”. Non si poteva riassumere meglio il lavoro svolto da questa rivista che ha ritmato i miei e i vostri ultimi diciotto anni, proponendo ogni volta itinerari e approfondimenti in una cornice storico-artistico-botanica unica nel suo genere e alle latitudini più diverse. I nostri pregiati contributors, con i loro testi dall’incedere narrativo e al tempo stesso rigorosi nei contenuti, hanno creato un legame duraturo con i lettori che, sono certa, conservano ogni numero nella propria libreria come spetta a un prodotto da collezione. Prima di congedarmi con animo fiducioso, nella speranza di ritrovarci, desidero esprimere tutta la mia riconoscenza a Guido Giubbini per la sua sapiente “guida” (mi perdoni il bisticcio), alla redazione, a Milena Matteini, figura trainante dell’Associazione Culturale Giardini e Paesaggi, alia premurosa Mariangela Barbiero e a tutti i collaboratori da cui ho imparato tanto.
II numero che avete tra le mani è particolarmente ricco e se devo mettere in evidenza un tema dominante, scelgo il “protagonismo vegetale” di cui si parla nell’articolo sulla casa-museo di Max Liebermann a Wannsee. Artista e collezionista berlinese residente sul lungolago dal 1910 fino alla morte nel 1935, ha sempre messo la vita vegetale in primo piano nei suoi dipinti. Fogliame, steli e fiori rompono le simmetrie del giardino e compaiono in più tele, come fossero scatti fotografici in sequenza, rappresentando così anche la quarta dimensione, ovvero il tempo. Gli alberi sono assoluti protagonisti anche negli schizzi e nei disegni di Claudio Lorenese, artista francese del XVII secolo, diventato cantore della campagna romana e di Tivoli. A dominare la scena nelle sue opere sono alberi caducifoglie, ma soprattutto pini a ombrello, attraverso le cui fronde si scorgono monumenti e rovine dell’antica Roma.
Nel celebrare ramificazioni e chiome, non si possono trascurare i fiori. E per farlo approdiamo a Tokio al tempo della fioritura dei ciliegi, un appuntamento imperdibile per chiunque voglia cogliere il legame dei giapponesi con la natura. Si tratta di un’esperienza estetica ed esistenziale, in cui si ammirano le corolle e si attende che cadano i petali per meditare sulla fugacità del tutto.
Gli alberi sono esseri viventi che mutano e si adattano all’ambiente circostante, custodi dell’eco-sistema. Nell’articolo “Cortecce” si ricorda che “gli alberi non sono arredo”, subiscono traumi ma hanno capacità di resilienza e sono elementi indispensabili per la nostra soprvvivenza. La loro è garantita, anche senza di noi. Quindi non c’è più tempo: è indispensabile cambiare sguardo. È giunto il momento, e Rosanova ha certamente contribuito a questo compito, di “vedere attraverso occhi che non sono i nostri. Per capire che il nostro modo di guardare il mondo non è l’unico. (...) il mondo non appartiene, e non è mai appartenuto, soltanto a noi”, scrive Helen Macdonald, scrittrice e naturalista inglese nella raccolta di saggi Voli vespertini. Salutiamoci dunque con questo proposito: conoscere e amare la vita non umana che ci circonda perché il mondo naturale è fonte inesauribile di meraviglia e di insegnamento.