di Marta Matteini

Nonostante la proboscide del dio Ganesh impazzi sulle magliette made in China e la medicina ayurvedica sia ormai proposta in tanti centri benessere, l'India non si lascia scoprire così facilmente. E non basta nemmeno una settimana in Rajastan o una vacanza a Goa per entrare in contatto con l'identità più profonda e le secolari tradizioni di un paese dove, oltre all'hindi e all'inglese, si parlano altre trenta lingue e duemila dialetti.

Questo numero monografico sull'India non pretende tanto, ma cerca di approfondire almeno un aspetto di questa millenaria civiltà esplorandone i giardini. E, come spesso accade, le riflessioni relative agli interventi umani sul paesaggio conducono a letture ben più ampie. Qui svelano, oltre a molto altro, il nobile intento (all'epoca più che riuscito) di far convivere pacificamente due fedi religiose contrastanti come l'induismo e l'Islam.
Le descrizioni, dotte e accuratissime, dei giardini-mausoleo del periodo moghul coevi delle ville palladiane, dei giardini chaharbag, di quelli scenografici a terrazze ereditati dalla Persia e dei giardini-isola creati nella stessa epoca del giardino Borromeo dell'Isola Bella, aprono interessanti prospettive storiche e culturali. Forse l'articolo più denso a questo riguardo è "II sogno di Akbar", che illustra il modernissimo programma sociopolitico di un sovrano-dio, al potere per oltre mezzo secolo. Fondendo insieme elementi della tradizione musulmana e induista, diede vita a un "meticciato" artistico per tenere uniti tra loro monoteisti e politeisti sotto la cupola di un religione "condivisa" in cui tutti si riconoscevano. Con grande lungimiranza, affermò anche il principio di uguaglianza tra sudditi indù e sudditi musulmani, una ricetta che in tempi di fondamentalismo globalizzato sembrerebbe più che auspicabile. A rischio di abusare di un'espressione inflazionata, Akbar il Grande incarna il vero illuminato. E per restare sull'onda più evocativa, non si può tralasciare l'episodio raccontato nell'articolo "Indian Garden in Mede Lomellina", ambientato alle nostre latitudini. La visita a sorpresa di uno sconosciuto, a cavallo di una moto, che chiede lumi su come costruire un gazebo uguale a quello di Vita Sackville-West nel terreno della sua cascina lombarda, è degna di un racconto di Gogol o di Simenon. E una continua sorpresa, per i profani, scoprire che la creazione di un giardino possa assumere accenti filosofici tali da ricordare un antico apologo. O, nei passaggi più poetici, una favola mediorientale. E ancora fiabesco, nella descrizione di Maurizio Usai, è il giardino-bosco di Antje Presti nei pressi di Roma. Sotto i grandi alberi, tra le foglie e l'erba, si alternano nel corso dell'anno fioriture di piccole piante, spesso bulbose - bucaneve, ciclamini, narcisi, coridali, scille - che trasformano il sottobosco in un arazzo incantato.