di Marta Matteini

Apriamo questo numero con un anniversario molto importante per Rosanova: ricorrono i 20 anni dell'Associazione culturale Giardini e Paesaggi (www.associazionegiardiniepaesaggi.it) che, dal 2005, è editore della nostra rivista quadrimestrale. Ma la sua attività non si limita soltanto a questo. L'associazione organizza e promuove svariate iniziative dal 1997, tutte legate da un profondo interesse per giardini e paesaggi di ogni angolo del pianeta perché, come spiega nel suo articolo il presidente del consiglio d'amministrazione Milena Matteini, attraverso la conoscenza di luoghi nati ed evoluti all'interno di culture diverse si possono abbattere barriere e pregiudizi, ponendo le basi per una cittadinanza consapevole e più rispettosa dell'altro. Con questo fine si sono succeduti negli anni incontri pubblici, mostre fotografiche, cicli di concerti come "Musica e giardino" e conferenze come "Paesaggi in tutte le stagioni", che riparte nel mese di marzo al Palazzo Ducale di Genova. Il merito dell'Associazione sta nel sensibilizzare lo sguardo dei cittadini comuni riguardo ai paesaggi che ci circondano, che sono poi un'emanazione di quelli interiori, un insiemedi "immagini, sensazioni (...), forme, luci, colori, suoni, profumi, sapori, modi di coltivare e di insediarsi sul territorio, una totalità di fattori che sono fondanti per la vita delle persone".
Con queste premesse, che in effetti animano tutti gli articoli della nostra rivista, sposto l'attenzione su un articolo molto istruttivo in quanto svela le motivazioni storico-economiche che hanno portato all'attuale aspetto delle Highlands scozzesi, immortalate in tanti film perché indubbiamente suggestive. Un'area montuosa tra le più scenografiche d'Europa, con quei rilievi verdissimi, eppure privi di boschi. Distese e pendii si susseguono flessuosi, ma non c'è traccia di alberi. Non è il clima scozzese, senz'altro poco mite, ad averli resi di quell'aspetto, ma l'azione scellerata dell'uomo. Anzi, per l'esattezza, della contessa di Sutherland e dell'esercito inglese che sfrattarono 15mila abitanti tra il 1814 e il 1820. Il tutto è narrato nell'articolo di Guido Giubbini sui giardini dei Sutherland, che secondo me, andrebbe letto in tutte le scuole per fare comprendere come economia e paesaggio siano intimamente legati. In tutti i libri di storia, quando si illustrano le enormi trasformazioni che portarono alla prima rivoluzione industriale, immancabilmente si parla delle "enclosures", owero delle recinzioni che i proprietari terrieri della borghesia mercantile inglese misero alle common lands (terre demaniali) e agli open fields (i fondi indivisi) grazie a una serie di eclosures acts che li autorizzarono a farlo, togliendoli cosi ai contadini che non poterono piu vivere del ricavato del proprio lavoro. Le leggi sulle recinzioni, dunque arricchirono i grandi proprietari terrieri e ridussero in miseria un'enorme quantità di contadini che si riversarono nelle città in cerca di occupazione, diventando ben presto la manodopera a basso costo dei primi impianti industriali tra la fine del '700 e il primo '800. Tutto questo è materia di studio nelle scuole superiori, ma delle Highlands Clearances non si sa nulla. I grandi boschi che rivestivano le Highlands vennero tagliati per lasciare posto a sconfinati pascoli per le pecore che cancellarono anche i piccoli campi coltivati dell'economia agricola tradizionale. Gli sgomberi delle Highlands determinarono una drastica trasformazione dell'aspetto della regione, oltre che causare l'esodo dei contadini. Una manipolazione cosi pesante del paesaggio da parte di pochi non è purtroppo soltanto un ricordo del passato. Cambiano i protagonisti, ma le violazioni del patrimonio naturale continuano, in maniera persino più pesante perché non c'è solo devastazione dell'estetica e dell'economia di alcune regioni, ma si compromette anche la salute delle generazioni a venire. Oltre a voler creare "giardini felici", descritti con delicatezza nell'articolo di Castrini, sono certa che i lettori di Rosanova condividano anche la cura della memoria del paesaggio, da non tradire al pari di quella degli uomini.