di Marta Matteini

 

ln un pomeriggio estivo mi sono trovata per caso a guardare un documentario canadese sulla Romania, Paese di cui non so nulla, ma per il quale provo un'inspiegabile attrazione. Dopo aver visto quel documentario e letto il reportage di Guido Giubbini pubblicato in questo numero sulle celebri chiese di legno della regione del Maramures, quell'attrazione non è più inspiegabile. Per quanto diversi nei contenuti, i due approfondimenti mi hanno confermato che la Romania resta uno degli ultimi angoli di vecchia Europa, sia in senso antropologico che botanico, dove il patrimonio naturale è ritenuto un valore e viene trattato come tale. Il documentario raccontava di una serie di guest-houses per i turisti immerse nel verde della Transilvania, e gestite da un gruppo di ex bambini di strada ormai cresciuti e formati come guide naturalistiche da un'insegnante romena, ideatrice del progetto che coniuga un servizio sociale con l'educazione ambientale. I ragazzi hanno creato la loro piccola comunità all'interno di un villaggio rurale, tra boschi e colline fiorite, dove tutti uniscono gli sforzi per preservare il paesaggio, i siti di valore storico-artistico e le tradizioni locali. L'attaccamento ai luoghi si è tradotto in un gesto d'amore collettivo difficile da vedere sulle pendici degli Appennini o delle Alpi italiane, se non dopo qualche frana o alluvione. Da noi enti pubblici e istituzioni si attivano soltanto di fronte alle emergenze, e ben poco per la manutenzione, la conservazione e la promozione del patrimonio naturale e artistico, una politica che invece lo renderebbe la nostra vera materia prima nazionale.
Chissà se su questo tema avrebbe qualcosa da dire Ferrante Gorian, goriziano, botanico esperto e di grande sensibilità, che già negli anni 40 del secolo scorso aveva sentito l'esigenza di uno sguardo d'insieme sul verde italiano e sui temi ambientali. A lui è dedicato un articolo che ripercorre le tappe della sua lunga esistenza, divisa tra l'Uruguay e l'Italia. Fino agli anni Sessanta ha avuto un lungo sodalizio con Pietro Porcinai, ma in seguito le loro visioni sul paesaggio si sono differenziate. Stabilitosi a Treviso, Gorian ha progettato giardini e risistemato aree degradate fino a tarda età, come si narra nel volume del figlio Fabio, I Giardini di Ferrante Gorian (2013), edizioni Duck.
Proponiamo poi un articolo sul recupero di un parco storico a Berlino, quello della prigione di Moabit, nella ex periferia di Berlino Est. Riaperto al pubblico nel 2006, il parco racchiude un pezzo di storia penale, prima prussiana e poi tedesca, di cui restano poche tracce, ma molto evocative. Il muro di cinta, le abitazioni del personale e i giardini, tutti sotto tutela, oltre a blocchi di vegetazione e qualche parete isolata che ricreano i volumi demoliti nel 1958, ove i detenuti politici avevano subito l'oppressione della Wermacht e della Gestapo.

Non poteva mancare un omaggio a un fiore. Questa volta si tratta dell'ortensia, l'hydrangea originaria di Cina e Giappone, che trionfa con infinite varietà di forme e colori in alcuni celebri vivai in Normandia, in Bretagna e anche in alcune regioni italiane