di Marta Matteini

Questo numero di Rosanova, che solitamente bada alla coerenza e uniformità dell'insieme degli argomenti, è invece alla felice insegna della commistione e della varietà. Un maestro della cultura e fattura del giardino contemporaneo, Jaques Wirtz, che Gabriella Recrosio introduce e fotografa, mettendone in luce il senso dello spazio e la conoscenza (da giardiniere e vivaista) delle forme naturali delle piante da cui

deriva, con ardito ossimoro, il suo libero topiario.
E un progettista inglese, Dan Pearson, è costretto invece a cimentarsi a Torrecchia (Latina) con un ambiente mediterraneo anche se di collina. Maurizio Usai, già autore su questa rivista di un articolo su Ninfa, guarda al giardino di Torrecchia, che pure è cresciuto intorno ad un nucleo di rovine, per coglierne l'originalità sia di impianto sia di scelta delle singole essenze.
I due articoli che Guido Giubbini dedica o Villa Lante o Bagnaia riportano invece alla storia e arte del giardino. L'uno, con il divertente titolo "I gamberi di Bagnaia", rivendica l'ideazione e la creazione di uno dei primi giardini "moderni" del Rinascimento al cardinale Giovan Francesco Gambara che ne testimonia la proprietà moltiplicando l'immagine della propria casata, il gambero appunto, sulle pareti, sui cornicioni, sulle fontane, nella catena d'acqua. Il secondo, illustrato dalle suggestive fotografie di Francesca De Col Tana, riguarda il giardino vero e proprio di Bagnaia come esempio di giardino "aperto", di giardino cioè il cui andamento coincide con un percorso d'acqua intorno a cui ruotano le varie aiuole, il frutteto, il barco. Se le forme architettoniche sono le stesse dagli anni dello sua fondazione, quelle vegetali, soggette ai cicli naturali di nascita, sviluppo e morte, sono per definizione mutevoli e deperibili. Per evitare la diffusa opinione che il giardino attuale sia lo stesso di cinque secoli fa, l'articolo analizza le varie riproduzioni a stampa che, data l'importanza del giardino, si sono susseguite nel tempo. Dalla lettura emergono le differenze di impianti, di scelta di essenze, le loro associazioni e le modalità di coltivazione e con ciò le persistenze e i cambiamenti del gusto e delle mode. Mutamenti appassionanti come, se non di più, di quelle delle mode attuali.
L'elogio dell'oleandro espresso da Harold Hillier è una buona occasione per Gian Lupo Osti per ricordare la bellezza dell'oleandro nelle nostre città e nei nostri giardini, se ben curati, ma soprattutto per citare alcuni esempi di oleandri al naturale in luoghi sacri come Olimpia, di selvaggia bellezza, come sul Meandro in Turchia o in Calabria o in Corsica o in Sardegna. Ma l'elogio migliore, anche se non credo da seguire alla lettera, è quello di un figlio di Osti ancora ragazzino che mangia, mi pare indenne, il fiore dell'oleandro!
All'elogio dell'oleandro si aggiunge l'elogio dell'Ingegnere, se si tratta, come nell'articolo intitolato "La casa del mago", di una specie di Archimede Pitagorico ottocentesco secondo la definizione di Guido Giubbini autore dell'articolo. Nella realtà si tratta di William Amstrong Junior che utilizza i proventi delle proprie invenzioni tecnologiche nel campo soprattutto dell'idraulica, per trasformare una grande estensione di terreno pietroso in una lussureggiante abetaia ornata da cinque laghi. Ma anche la costruzione della sua nuova casa, affidata ad un amico architetto, Richard Norman Shaw, sarà dotata di acqua corrente e di nuove attrezzature per la cucina e sarà poco dopo (1880) la prima casa al mondo con un'illuminazione elettrica con lampade ad incandescenza.
E il giardino? Roccioso naturalmente, ricavato sul pendio di massi che regge la casa. Inoltre prati, distese di erbe naturali percorsi da ruscelli come sulle Dolomiti e pascoli e boschi e radure fiorite. Nell'insieme una vera magia.