di Marta Matteini

Rosanova apre l'anno con un numero essenzialmente filosofico che può essere riassunto in una frase: "Non è il giardiniere che fa il giardino, ma il giardino che fa il giardiniere". A dirlo è il celebre paesaggista francese Gilles Clément e la suo puntualizzazione è più che mai cruciale se si considera l'approccio ancora dominante nel nostro Paese, dove gli interventi

nel "verde"si misurano raramente con la vegetazione preesistente e puntano spesso a realizzare una forma prevolentemente estetica che non tiene conto di altro. Le riflessioni teoriche di Clément, a cui sono qui dedicate numerose pagine, sollevano una serie di questioni chiave sul rapporto tra l'uomo e i paesaggio, sempre troppo sbilanciato, che riaffiorano anche negli articoli sui giardini del maestro olandese Piet Oudolf o su un interessante giardino a terrazze di Pegli, vicino a Genova.

Gilles Clément è tra i paesaggisti più discussi d'Europa perché la sua visione ecologica e politica dell'ambiente sottolinea la dissonanza tra lo sviluppo biologico e quello economico. Quando parla di giardino rifiuta l'idea di uno spazio delimitato e si orienta verso il concetto di "giardino planetario", sostenendo che tutti dobbiamo sentirci responsabili dell'intero ecosistema. "On va jardiner la planète!" è la sua esortazione. Con questo appello suggerisce un nuovo sguardo verso i paesaggi anche meno curati o "belli" da vedere. Noto ai più per aver realizzato il Parco Citroën e i giardino del Museo di Quai Branly a Parigi, firmato dall'architetto Jean NouveI e sede del museo delle Arti primitive, Clément rivaluta tutto ciò che resta fuori dai confini, dai muri di cinta, dai cancelli e dalle siepi, ovvero i territori incolti o abbandonati, compressi tra l'espansione urbana e i campi coltivati. Queste porzioni di territorio dimenticate, eppure biologicamente ricche, sono alla base del suo Manifesto del Terzo paesaggio con cui ne ribadisce l'importanza in quanto rifugio della diversità botanica e della mescolanza vegetale. Un principio che ha maturato partendo dall'affascinante teoria del "giardino in movimento", il "luogo privilegiato dei cambiamenti" dove i ritmi della natura e della vegetazione devono esprimersi liberamente. Non incoraggia l'abbandono o l'incuria, ma il rispetto della fisionomia botanica del luogo e dei modi e tempi di crescita delle piante. I giardini di Clément, dunque, esaltano "il potere di invenzione della natura" dando l'impressione che l'uomo non vi abbia mai messo mano (né piede) e, avendo visitato di recente il giardino del Museo di Quai Branly, posso confermarlo. L'agilissima e composita struttura di Nouvel sembra scaturire da un'antica palude a poche decine di metri dalla Senna e dalla torre Eiffel, come se fosse inspiegabilmente giunto fino a noi dall'epoca dell'antica Lutezia, o forse da una ancora precedente. La suggestione ancestrale è fortissima e prepara "emotivamente" il visitatore al viaggio a ritroso nel tempo che lo aspetta all'interno del museo.