di Marta Matteini

Il numero 1 di Rosanova è così ricco che non si sa davvero da che parte cominciare. Forse conviene assecondare la scelta del curatore, che ha raggruppato gli articoli per argomenti. I più esotici riguardano i giardini del Marocco e della Siria, e ci spiegano come anch'essi, se considerati con rigore critico e senza pregiudizi, siano riconducibili alle due forme di base del giardino occidentale, la forma chiusa e la forma aperta.

Gli uni sono stati voluti dalle dinastie berbere originarie del deserto, dove l'archetipo di riferimento, per ragioni vitali, non poteva essere che l'oasi, di necessità chiusa e contrapposta all'ambiente circostante. Gli altri, se si considerano le tracce archeologiche, si pongono all'origine del giardino aperto, basato sullo scorrere dell'acqua in uno spazio per definizione non circoscrivibile e dinamico.
Gli argomenti più familiari riguardano invece la fascia pedemontana e montana del Piemonte, e in particolare l'alto Biellese, dove per ragioni sia climatico-ambientali che produttive è stata elaborata un'antica e originale trasformazione del paesaggio.
Tra i giardini Milena Mattini descrive quelli realizzati da Pietro Porcinai per la famiglia Zegna a Trivero, tra i vivai Maria Teresa D'Ottavi ha scelto quello di Roberto Fumo, perché è tra i più antichi de Piemonte.
Una nuova lettura di Guido Giubbini dei giardini della Granja, la più fastosa delle regge spagnole, parte dall'origine dei committenti, un re francese e una regina italiana, per rilevare nell'opera tratti originali non riconducibili alle altre residenze del Barocco europeo.
Tra le rubriche, oltre ai libri, troverete un'intervista ad Annalisa Maniglio Calcagno, una nota sulla quinta edizione del Premio Martini dedicata al giardino di Villa Arconati di Bollate, e, sul tema degli Orti botanici, una visita a giardino sperimentale di Oropa.
Buona lettura.